Dialogo: intervista di Riccardo Caldura con Giordano Montorsi
[DOMANDA] Caro Giordano, si era pensato di fare un terzo testo dedicato alle
tue ultime mostre tenutesi a Gazoldo e Casina. So che hai inaugurato una
recentissima mostra a Montechiarugolo. E ve ne sono in programma delle altre. Anche per
diversificare un pò gli stessi cataloghi, mi sembra più opportuno provare con una sorta di
dialogo/intervista, che contenga tue risposte e chiarimenti. Per questo ti propongo alcune
domande che mi auguro si trasformino in stimoli per il tuo argomentare. Ti ritrovi così ad aver
fatto una lunga serie di esposizioni nella provincia emiliana, confrontandoti di volta in
volta con i diversi aspetti che gli spazi pongono. D'altronde il tuo lavoro mantiene non
soltanto delle tematiche di fondo, ma anche delle strutture formali: penso alle reti metalliche che
da elemento di sicurezza per cantieri edili, hai trasformato in un dispositivo riarticolabile
di volta in volta. Dunque inizierei questa nostra conversazione partendo dal tuo rapporto
con lo spazio.
[RISPOSTA] Definiamo dunque in via preliminare quale tipo di spazio interagisce con
il mio lavoro, quale caratteristica ne diventa un carattere fondativo e stimolante. Lo
spazio fisico, il luogo definito, quel luogo, che denota e connota un ambiente, un
territorio preciso, fisico, materiale, si intreccia con uno spazio mentale immateriale, virtuale,
in potenza, permettendo a quell'elemento che noi definiamo atto creativo, di
prendere corpo attraverso l'opera, l'evento, la cosa. Quel preciso spazio allora, diventa, in
molte delle mie esibizioni, luogo di intuizione e di produzione di infiniti spazi, mutevoli,
mutanti, sistematici a volte, asistematici altre. In breve direi che il rapporto con lo spazio è di
tipo sostanzialmente simbiotico. Ma, tra uno spazio fisico e uno mentale, ne esiste
un'altro, quello siderale, cosmico al quale ognuno di noi non può non rivolgere lo sguardo.
Su questo spazio, gli umani di ogni epoca e tempo hanno costruito le loro leggende, le
loro storie, i loro miti: hanno proiettato verso la mappa celeste, i loro desideri le loro
illusioni; lasciandosi guidare dalle stelle, hanno conosciuto il mondo e costruito civiltà
secolari. Tutto ciò mi permette di evidenziarti una caratteristica fondante del mio
operare fondamentalmente "eclettico." Tutti i cicli di opere da mé realizzati come
"Preghiere", "Tenebre", "Ruggine", "Design/Dasein", " Kabuio" sono come mondi già preesistenti
che riesumo dall'oscurità. Infatti ogni singolo lavoro non é l'anello di una catena costruita
sullo stile, ma vive di luce propria, totalmente fino a se stesso anche se in equilibrio e
coerente poeticamente con il resto. Mi piace pensare che il mio operare sia come
un'immensa galassia che prende luce poco per volta, formata da tante costellazioni (i vari
cicli) ognuna delle quali é regolata da proprie leggi, e le opere, in libero volo nella pluralità
di senso etico ed estetico .
[D] Come nascono le tue installazioni, quali le tue fonti di ispirazione o gli artisti di
cui senti, o hai sentito l'influenza?
[R] Mi chiedi quali artisti sento più vicino in questo momento al mio lavoro attuale.
In verità sono diversi e sopratutto internazionali, come Renée Green, Mona Hatoum,
Damien Hirst; il più significativo rimane a ben vedere Vettor Pisani. Non tanto per alcuni
contenuti, ma per le modalità operative, per la flessibilità multimediale e per la libertà d'azione che
sà mettere in campo nel suo operare artistico. Altra cosa importante che condivido e
che appartiene anche a mé, é la capacità di volgere lo sguardo verso orizzonti capaci
di riflettere la complessità contemporanea. Per quanto riguarda le fonti di
ispirazione, sintetizzando, direi: la "natura" sempre più improbabile, la cultura, l'arte, i sogni, i
desideri, le immagini della realtà-irrealtà, i conflitti, lo scontro, gli incubi della modernità, il cinema
o dell'immaginario, la storia, la scienza, il mito, inteso nella dupplice accezione di,
mitologia e mitografia, le immagini della memoria, i paesaggi della mente, la quotidianità attraverso
i suoi segni Kitsch e pulp, in uno scenario, dominato dal rischio di catastrofe possibile,
di catastrofe probabile, di catastrofe certa. Il lavoro temporale della ricerca che si svolge
nello spazio, affonda le sue radici nel tempo eterno e, come afferma E. Temple Bell nel suo
libro: Le flot du temps. "Non bisogna credere che il tempo trascorso rientri nel nulla; il tempo
è uno ed eterno, il passato, il presente e il futuro non sono che aspetti diversi - stampe
diverse se così preferite - di una registrazione continua, invariabile, dell'esistenza perpetua".
Da alcuni anni, una componente essenziale delle mie installazioni è rappresentata dall'uso
di reti metalliche di sicurezza per cantieri. Oltre ad un significato simbolico, mi affascina
la loro potenziale e reale riarticolazione. Il loro diverso utilizzo determina diverse letture
di senso e di significato. Mi permettono un gioco infinito di strutture compositive
relazionabili allo spazio e all'ambiente. Hanno quindi una funzione d'uso materiale di supporto, e
una funzione simbolico concettuale a forte comunicazione. Da oggetto di
riferimento scenografico a soggetto autonomo "poetico". L'opera Kabuio esposta a Gazoldo può
essere anche e non solo letta come metafora di un altra rete, quella telematica, ripostiglio di più
e svariate memorie. Come vedi, di rete in rete, tra le reti, in rete, ma per non
essere intrappolato nella rete, nel recinto della banalità. 
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